Basi cellulari di sviluppo e malattia del cervelletto

 

 

GIOVANNI ROSSI

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XVIII – 19 giugno 2021.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Nella nostra specie il cervelletto ha una dimensione alla nascita che a stento raggiunge un quarto del volume che avrà nell’età adulta, ma già contiene il piano operativo necessario a integrare in forma adulta gli stimoli provenienti dall’ambiente con gli apprendimenti in corso di sviluppo negli ambiti motorio, cognitivo ed emozionale. La neuroanatomia del cervelletto è attualmente conosciuta con elevata precisione di dettaglio, sia per ciò che concerne l’aspetto descrittivo topografico, messo in relazione con significati neurofunzionali e filogenetici, sia per ciò che riguarda l’organizzazione strutturale, che ha nel modello cellulare della corteccia un esempio paradigmatico di modulo morfo-funzionale del sistema nervoso centrale. Tuttavia, la comprensione dell’origine evolutiva di questo congegno perfetto di parti a tema morfo-funzionale fisso ma con grande plasticità adattativa, è ancora molto limitata.

Kimberly A. Aldinger e ventuno colleghi hanno integrato gli approcci cellulare, molecolare e spaziale per mappare in modo sistematico il cervelletto fetale e porre in relazione le dinamiche molecolari di espressione genica con la citoarchitettonica della struttura e l’organizzazione topografica. La procedura seguita ha consentito di identificare tipi cellulari rilevanti per lo sviluppo di patologie cerebellari. I risultati sono di sicuro interesse.

(Aldinger K. A., et al., Spatial and cell type transcriptional landscape of human cerebellar development. Nature Neuroscience Epub ahead of print doi: 10.1038/s41593-021-00872-y, June 17[1], 2021).

La provenienza degli autori è la seguente: Centre for Integrative Brain Research, Seattle Children’s Research Institute, Seattle, WA (USA); Brotman Baty Institute for Precision Medicine, Seattle, WA (USA); Department of Pediatrics, University of Washington, Seattle, WA (USA); Department of Neuroscience and Kavli Institute for Neuroscience, Yale School of Medicine, New Haven, CT (USA); Neurogenomics Group, Pompeu Fabra University, Barcelona (Spagna); Department of Bioengineering and Department of Computer Sciences, University of Washington, Seattle, WA (USA); Bioscience Institute, Faculty of Medical Sciences, Newcastle upon Tyne (Regno Unito); University College London Great Ormond Street Institute of Child Health, London (Regno Unito); Department of Neurology, University of Washington, Seattle, WA (USA).

Si propone qui di seguito un’introduzione sul cervelletto con particolare riferimento alla corteccia cerebellare, tratta da una recensione recente (Note e Notizie 26-09-20 La corteccia del cervelletto umano è sorprendente).

Il cervelletto è quella parte dell’encefalo che occupa la fossa cranica posteriore ed è presente in tutti i vertebrati con uno sviluppo proporzionato a quello del cervello. Si presenta costituito da tre parti: una struttura mediana di minore dimensione denominata verme cerebellare, corrispondente al cervelletto primitivo presente anche nei più bassi vertebrati (paleocerebello), e due espansioni laterali dette emisferi cerebellari. È situato nella loggia cerebellare delimitata dal tentorio e si sviluppa sotto il cervello, dietro il ponte, sopra il bulbo. Il suo diametro trasverso raggiunge un massimo di dieci centimetri, mentre verticalmente supera raramente i cinque centimetri per un peso complessivo medio di 140 g, ossia l’ottava parte del peso del cervello. I solchi del cervelletto consentono di ripartirlo in tre lobi e numerosi lobuli, accuratamente descritti dagli antichi anatomisti secondo criteri che non hanno trovato riscontro fisiologico o utilità clinica.

Il fascino esercitato sugli antichi morfologi dalla struttura corticale cerebellare costituita da innumerevoli lamelle è stato superiore a quello dell’organizzazione in rami e ramoscelli diretti ai lobuli della sostanza bianca del centro midollare o tronco, cui diedero il suggestivo nome di albero della vita. Contrariamente a quanto creduto da alcuni studiosi contemporanei di storia della medicina, questa denominazione non trae affatto origine dall’erronea attribuzione al cervelletto di un ruolo vitale nella fisiologia dell’organismo, ma dall’analogia morfologica con la tuia (Thuja, L. 1753), una pianta arborea sempreverde delle Cupressaceae che presenta, al posto di foglie larghe, verdi diramazioni e sotto-diramazioni multiple costituite da minuscole scagliette foliacee[2]. A differenza del cervello, in cui la sostanza bianca ha un’enorme espansione indipendente con le sue strutture interemisferiche e il centro ovale di Vieussens, entrando solo perifericamente nella costituzione dei giri corticali, nel cervelletto l’aggregato pirenoforico corticale segue come un rivestimento tutte le diramazioni della sostanza bianca che, nell’aspetto morfologico macroscopico delle sezioni dell’organo, appare come un semplice complemento della preponderante struttura grigia.

La corteccia del cervelletto ha lo spessore di un millimetro o un millimetro e mezzo, e al taglio rivela due zone di aspetto differente: 1) uno strato esterno o superficiale di colore grigio pallido; 2) uno strato interno o profondo dal colorito tendente al fulvo rossastro, che giustifica la definizione di strato rugginoso.

L’esame microscopico della corteccia cerebellare consente di distinguere uno strato esterno o molecolare, che costituisce circa la metà dell’intera struttura e presenta abbondanza di fibre e scarsità di cellule, e uno strato interno o granuloso caratterizzato da numerosissime cellule.

Fra queste due lamine di tessuto grigio si interpone uno strato intermedio o zona mediana, sottile ma caratterizzata da una fila di neuroni esclusivi del cervelletto e dalla morfologia inconfondibile: le cellule di Purkinje.

Le cellule di Purkinje sono disposte a formare una fila abbastanza regolare, anche se a tratti si notano lievi irregolarità, perché alcuni di questi neuroni inibitori GABAergici sono dislocati verso la superficie esterna della corteccia, non in linea con la maggioranza, tanto da meritarsi il nome di “cellule spostate”, con il quale erano state descritte da Santiago Ramon y Cajal. Le cellule di Purkinje sono piriformi, con l’asse maggiore di 50-60 micron e una larghezza non superiore ai 25-30 micron, e presentano al polo superiore, rivolto verso la superficie esterna della corteccia, un tronco dendritico di grande calibro che si divide presto in grosse diramazioni principali, dalle quali originano, con una morfologia che ricorda un po’ quella dei rami della quercia, diramazioni secondarie e terziarie, che penetrano nello strato molecolare. L’espansione a ventaglio si risolve in una “lussureggiante arborizzazione che si può seguire fino alla superficie piale”[3], secondo la descrizione classica. Sui rami si possono osservare le numerosissime spine dendritiche, che in questi neuroni sono state accuratamente studiate nell’ultrastruttura al microscopio elettronico. È interessante la disposizione della fitta arborizzazione dendritica delle cellule di Purkinje, che Obersteiner paragonò a una pianta di vivaio fatta sviluppare intorno a un “sostegno a spalliera”, da cui la denominazione di spalliera dendritica che si adotta attualmente. Questa struttura è infatti disposta su un piano ortogonale rispetto a quello principale della lamella della corteccia del cervelletto, per cui si dice che l’arborizzazione a spalliera “si espande per traverso alla lamella”[4].

Dal polo opposto o interno della cellula di Purkinje origina il neurite che diventa cilindrasse, ossia assone rivestito di mielina[5], presentando la caratteristica di un diametro inferiore a quello del tronco dendritico, all’opposto di quanto accade per la maggior parte dei neuroni. Dopo un tratto più o meno breve, l’assone emette rami collaterali, alcuni dei quali terminano nello strato granuloso mentre altri risalgono come collaterali retrogradi fino al molecolare dove assumono decorso orizzontale e terminano circondando con una terminazione anulare il tronco dendritico della stessa cellula, di un’altra o di numerose altre cellule di Purkinje, realizzando un controllo inibitorio retrogrado dell’input che arriva dalle sinapsi formate dalle spine della spalliera dendritica con i neuriti dei neuroni che compongono la citoarchitettonica corticale. Dopo aver emesso i collaterali, proseguendo il suo percorso, il neurite entra con la miriade di altri cilindrassi omologhi nella sostanza midollare, dove costituisce la connessione diretta ai nuclei centrali del cervelletto, ossia la via cortico-nucleare cerebellare.

In estrema sintesi la struttura della corteccia cerebellare può essere schematizzata come segue.

1)      Lo strato molecolare, esterno, caratterizzato dalla cellula dei canestri: contiene ramificazioni dendritiche delle cellule di Purkinje, le fibre rampicanti e i rami orizzontali dei neuriti dei granuli, che costituiscono la maggioranza delle fibre di questo strato.

2)      Lo strato granuloso, interno, caratterizzato dal tipo neuronico del granulo e dai caratteristici glomeruli cerebellari nei quali si incontrano le fibre muscoidi e i dendriti dei granuli. Tutto lo spessore è attraversato da fibre muscoidi e fibre rampicanti, come da tutte le altre fibre afferenti, e contiene il corpo delle cellule a pennacchio, particolari elementi della glia descritti per la prima volta da Cajal.

3)      Lo strato intermedio delle cellule di Purkinje attualmente descritto come parte dello strato molecolare, che è stato considerato in passato l’elemento base del cervelletto. Infatti, alle singole cellule di Purkinje, che ricevono segnali dalle fibre rampicanti direttamente e dalle fibre muscoidi indirettamente per interposizione dei granuli, e forniscono l’unico output dalla corteccia, è stato dato il nome di “cervelletto istologico”.

 

La corteccia del cervelletto è la regione dell’encefalo in cui è stata stabilita con maggiore precisione la correlazione fra anatomia e fisiologia, e l’affascinante ricerca che ha portato alla definizione della sua architettura cellulare ha avuto inizio nel 1888 con gli studi realizzati da Santiago Ramòn y Cajal, usando il metodo dell’impregnazione argentica di Camillo Golgi, ed è proseguita nel secolo successivo grazie soprattutto alle osservazioni di sir John C. Eccles e collaboratori. Dalla scuola di Eccles proveniva Rodolfo R. Llinas, che nel 1975 integrò il suo contributo sperimentale in una sintesi schematica e concettuale resa in una iconografia ancora oggi adoperata per illustrare la disposizione nelle tre dimensioni dello spazio degli elementi che formano i circuiti della corteccia cerebellare[6].

Con questi studi classici fu anche definita la natura delle fibre muscoidi e delle fibre rampicanti. Entrambi i tipi di assoni sono eccitatori, ma obbediscono a criteri funzionali differenti e sostanzialmente opposti.

Le fibre rampicanti provengono da formazioni distanti, come il nucleo olivare inferiore, e ciascuna si dirige verso la cellula di Purkinje che costituisce il suo specifico bersaglio fin dallo sviluppo embrionario e sulla quale forma anche più di 300 sinapsi: la scarica della fibra rampicante è estremamente violenta e fa scomparire ogni attività del neurone di Purkinje, come fu dimostrato già nel 1964 da Eccles, Sasaki e Llinas.

Le fibre muscoidi, al contrario, eccitano numerose cellule di Purkinje, formando solo poche sinapsi su ciascuna di esse, e le raggiungono sempre con l’intermediazione dei piccoli interneuroni detti granuli[7].

Torniamo allo studio qui recensito.

Aldinger e colleghi hanno mappato in modo sistematico la costituzione molecolare, cellulare e spaziale del cervelletto fetale umano mediante la combinazione della microscopia a cattura laser con la tecnica trascrittomica SPLiT-seq single-nucleus.

In tal modo i ricercatori sono riusciti a realizzare un profilo di regioni funzionalmente distinte e un profilo delle dinamiche dell’espressione genica, all’interno dei singoli tipi cellulari e lungo la diacronia dello sviluppo.

Tabulando i risultati acquisiti in un atlante cellulare, i ricercatori hanno ottenuto un quadro di informazioni dal quale si deduce che l’organizzazione molecolare dell’abbozzo fetale del cervelletto contiene il ritratto identitario su base citoarchitettonica delle varie regioni topografiche.

Questo speciale atlante cerebellare del feto umano consente anche la precisa collocazione dei tipi cellulari temporanei dello sviluppo, che risultano differenti da quelli del cervelletto del topo.

Infine, Aldinger e colleghi hanno mappato i geni dominanti per le malattie neurologiche dell’età pediatrica e dell’adulto all’interno del loro dataset. Questa operazione ha permesso di stabilire un diretto rapporto tra geni e neuroni, consentendo di definire tipi cellulari rilevanti per i meccanismi patogenetici dei disturbi più frequenti.

In conclusione, gli esiti di questa ricerca forniscono una risorsa di sicura utilità per lo studio delle basi cellulari dello sviluppo e delle malattie del cervelletto umano.

 

L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanni Rossi

BM&L-19 giugno 2021

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Testo e riferimenti sono stati aggiornati venerdì 18 giugno alle 9 e 23: a quest’ultima correzione è aggiornata la nostra recensione.

[2] Il nome greco θυία vuol dire “cedro” ed è stato dato per l’odore emanato dal legno di questa pianta. Originaria di Cina, Giappone, Alaska e regione dei grandi laghi del Nord America, in latino era detta Arbor vitae; come vuole la legge linguistica del “conservatorismo della periferia”, in America si è mantenuta la forma latina abbandonata in Europa ed è ancora chiamata arborvitae. L’origine della denominazione della sostanza bianca cerebellare è riportata nel Trattato di Anatomia Umana di Testut e Latarjet (vol. III, p. 241, UTET, Torino 1974 e seguenti ristampe), nel quale la translitterazione dal greco è resa con thuya.

[3] Testut e Latarjet, op. cit., vol. III, p. 242.

[4] Testut e Latarjet, op. cit., ibidem.

[5] Ricordiamo che fu Purkinje, lo scopritore di queste cellule, che introdusse il termine “cilindrasse” per denominare l’assone rivestito da mielina nel sistema nervoso centrale e distinguerlo dai neuriti delle fibre amieliniche.

[6] Llinas R. R., La corteccia del cervelletto. Le Scienze 81, maggio 1975, ristampato in Il Cervello – organizzazione e funzioni (a cura di Angelo Majorana), Le Scienze Editore, pp. 120-131, Milano 1978.

[7] Note e Notizie 26-09-20 La corteccia del cervelletto umano è sorprendente.